Per i 60 anni dell’Oscar dell’imballaggio, il contest organizzato dall’Istituto Italiano Imballaggio, che premia i BEST PACKAGING, l’eclettica artista Roxy in the Box ha realizzato tre opere originali, tratte da una riflessione di lungo corso, sui loghi di importanti brand storici nazionali. Il progetto mette a confronto realtà e trasfigurazione artistica del packaging, nato per conservare, proteggere e comunicare, che è divenuto oggetto di culto per l’arte pop internazionale. In mostra da Barbara Frigerio Contemporary Art, nel cuore del Brera Design District, l’innovazione nel design, nei materiali e nelle funzioni dei packaging che accompagnano la vita quotidiana, si è incontrata con la reinterpretazione della pop artist napoletana, che legge il packaging come potente strumento di comunicazione ed educazione artistica popolare.

Con il nome Kitakkat – nato dalla rivisitazione del marchio KitKat – nel 2004 questa sperimentazione di Roxy in the box diventa nota al grande pubblico, con una personale, curata da Gianluca Marziani, attuale direttore di Palazzo Collicola, Museo consacrato all’arte contemporanea a Spoleto. Questo percorso artistico trae origine dall’interesse di Roxy per il supermercato, che viene percepito come luogo della ripetibilità. Il supermercato è il luogo per eccellenza in cui si mescolano alcune delle tematiche più significative nella cifra artistica dell’artista partenopea: il pop, il logo, il packaging. E’ lei stessa ad ammettere di subire il fascino della comunicazione che avviene attraverso il packaging, perché afferma “se un packaging è bello e curato, significa che c’è attenzione da parte dell’azienda al prodotto che produce, il packaging ti racconta la storia del prodotto che contiene”. In particolare sono i brand storici, con i loro marchi e i packaging iconici, che hanno un’aura e uno stile vintage, quelli che esercitano maggiore fascino sull’animo artistico di Roxy.

Scrive Marziani: L’artista prende, per poi ribaltarli a modo suo, Nutella, Soflan, Active Tabs, KitKat ed altri prodotti che raccontano le idiosincrasie, le debolezze, i tic e le passioni di una persona a passo morbido nella folla urbana. La immaginiamo davanti ai molti marchi che diventano la storia di un personaggio, il suo timbro identitario, il confessionale anomalo di eventi privati che scopriamo pezzo per pezzo, momento dopo momento. Ogni progetto si trasforma così in un racconto visivo dove la pittura si collega ad altri elementi, diversi a seconda delle esigenze specifiche.

L’idea di lavorare sui loghi è nata dal quotidiano. Di fronte a casa sua si trova un supermercato di un’insegna locale, realizzato nell’ex cinema Roxy del quartiere popolare e molto centrale di Napoli, in cui vive. Nella parte superiore della facciata compaiono grandi vetrine in cui erano, originariamente, esposte le locandine dei film. Fu di Roxy l’idea di esporvi i propri lavori, realizzati abbinando immagini dei grandi artisti della pop art a loghi modificati. Il logo è per Roxy il simbolo della riconoscibilità, del messaggio che viene trasmesso al consumatore. L’abbinamento artista-logo contiene sempre un messaggio intimamente legato alla storia personale o artistica del personaggio ritratto, che è spesso un artista iconico di spicco come Andy Warhol – artisita che per primo ha trasformato il packaging in oggetto d’arte – e Frida Kahlo, Basquiat, Artemisia Gentileschi, ma anche un mito della musica come Elvis o ancora Bruce Lee.

Sono nati claim come “Campai d’arte”, che mette in connessione Andy Warhol con il logo Campari trasfigurato, perché Warhol fu uno degli artisti che, in vita, riuscirono a fare della propria arte un lavoro o “Martiri d’arte” che associa la Kahlo al Martini. La pittrice messicana diventa una martire, per la sua storia personale travagliata. Entrambi i personaggi sono ritratti feriti – altra citazione dalla biografia degli artisti – a simboleggiare che cercare di vivere della propria arte è un percorso doloroso, che provoca ferite, se non fisiche, certamente morali.

L’esposizione delle opere nel supermercato di un rione popolare ha, per Roxy, anche un intento pedagogico: è un modo semplice, immediato ed efficace per portare l’arte verso il popolo, per incuriosire anche chi non ha avuto l’opportunità di venire in contatto con l’arte.

In un’intervista rilasciata nel 2014 a Napoli click, a proposito della retrospettiva su Warhol dichiarava: Tutti conoscono Warhol, tutti hanno visto almeno una volta nella vita i suoi lavori, magari neanche capendo che si trattava di opere d’arte, la forza del suo messaggio tentacolare è immensa. Ma io penso che questa sia un valore, non un difetto. Tutti i grandi del POP, anche Elvis Presley per fare un nome, hanno avuto questo grande merito, quello cioè di muoversi in maniera trasversale unificando le persone, azzerando le differenze sociali, parlando una lingua che tutti possano capire. La fila chilometrica (per entrare alla mostra ndr) rappresenta proprio l’incarnazione della filosofia POP”