di Christian Micheletti
Quando si parla di innovazione spesso si intende l’introduzione o il miglioramento della funzionalità di un prodotto, il che si traduce in nuovi materiali. Fra le possibili soluzioni, i nanomateriali rappresentano una possibilità concreta con forti potenzialità. Cosa sono i nanomateriali? Considerando la definizione Europea, un nanomateriale è principalmente caratterizzato per avere particelle con dimensioni comprese fra 1 nm e 100 nm per più del 50% in numero. Oltre alla definizione normativa si può fare riferimento anche a una definizione funzionale, che indica il sorgere di proprietà chimico-fisiche nuove o la crescita non lineare di proprietà già presenti al diminuire delle dimensioni delle particelle. Si parla di idrofobicità, antibattericità, conduttività, proprietà magnetiche e ottiche, e così via.
I nanomateriali sono espressamente normati in diverse leggi di settore a livello europeo, inclusi gli imballaggi plastici, attivi ed intelligenti. Di fatto, alcuni nanomateriali sono già autorizzati per l’uso come additivi negli imballaggi plastici (Regolamento 10/2011), perché considerati sicuri da EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare). Al contrario, per gli imballaggi normati solo a livello nazionale l’uso di nanomateriali non è consentito dalle autorità competenti.
Perché mettere i nanomateriali negli imballaggi? Per fare solo alcuni esempi: migliorare le proprietà barriera, dare maggiore resistenza strutturale, implementare sistemi di tracciabilità, migliorare le etichette. Due applicazioni fra le più interessanti per il mercato futuro sono l’imballaggio attivo e intelligente, e quello biodegradabile. Lo scopo dell’imballaggio attivo è di aumentare la durata e la qualità del prodotto sullo scaffale, interagendo con il prodotto e/o con lo spazio fra prodotto e imballaggio. In questo senso, i nanomateriali possono agire da veicoli di sostanze attive, o essere sostanze attive essi stessi. Ad esempio, rilasciare antiossidanti o conservanti in modo controllato nel tempo, o assorbire l’ossigeno residuo (o altre sostanze) dall’atmosfera a contatto con il prodotto. L’efficacia di questo approccio è evidente negli alimenti, nei quali la durata del prodotto (ad es. banane) può essere prolungata di più del doppio (da 6 a 23 giorni).
Parlando di imballaggio intelligente, il suo scopo è quello di informare i consumatori sullo stato del prodotto. L’informazione può riguardare lo stato di conservazione, lo stato di maturazione, il raggiungimento della data di scadenza, promozioni in corso, e la tracciabilità del prodotto. In questo caso i nanomateriali possono servire per creare nanocircuiti che contengano le informazioni, sensori per la presenza di sostanze particolari, inchiostri nanometrici sensibili al calore, ecc. Il terzo ambito è l’imballaggio biodegradabile, interessante per le sue rosee prospettive di mercato. Tuttavia, pensando agli shopper, risulta difficile immaginare un utilizzo ampio su diversi settori per questo tipo di imballaggi. In realtà i nanomateriali possono fornire soluzioni efficaci, mantenendo la caratteristica di biodegradabilità, e migliorando proprietà barriera e strutturali, e inglobando caratteristiche “attive e intelligenti”. Esempi di nanomateriali sono la nanocellulosa, le argille funzionalizzate, e il chitosano.
Cosa dobbiamo considerare per mettere sul mercato imballaggi con nanomateriali? Cosa ci insegna l’esperienza? Il primo aspetto è verificare che la sostanza sia un nanomateriale secondo la normativa di riferimento, cioè che abbia più del 50% di particelle comprese fra 1 e 100 nm. Se lo è, l’aspetto cardine per dimostrare che l’imballaggio è sicuro è dimostrare che il nanomateriale sia utilizzato conformemente alle restrizioni legate all’autorizzazione concessa, e che in generale non migri nel prodotto. Per verificare ad esempio lo stato di dispersione di un nanomateriale in un polimero, o determinare se ci siano nanoparticelle nell’alimento o nel cosmetico, è necessario applicare tecniche analitiche precise, adatte a questi materiali. Maggiori dettagli saranno descritti nella seconda parte di questa mini-serie. Se si riesce a dimostrare l’assenza di esposizione, il processo autorizzativo diventa più semplice e meno costoso per l’azienda, permettendo in definitiva innovazione efficace e sicura.
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