di Marilde Motta
Cordoncini, serpentine, nastri e nastrini, ma anche fettucce, sbieco e spighette. Vengono tutti dalla moda, pensata per guarnire l’abbigliamento sia maschile sia femminile, e dalla passamaneria per l’arredo. In comune hanno secoli di storia, proibizioni comprese giacché le leggi suntuarie si sono spesso accanite contro questi vezzi. La sottile e lunghissima striscia di tessuto è stata per secoli realizzata con telai manuali, che ne producevano pochi metri alla volta e di un solo tipo, dunque oggetti costosissimi e ricercatissimi. Fra ‘500 e ‘700, i nastri hanno avuto il loro momento di massimo splendore come ancora oggi i quadri ci testimoniano. A partire dai primi decenni dell’800, con l’invenzione del telaio meccanico e con le successive ingegnose soluzioni, nastri e cordoncini sono arrivati alla portata di tutti, accessibili sì, ma senza perdere il loro fascino di guarnizione ricercata, di addobbo coquette.
Marilde Motta, ad Personam
Sono approdati al packaging solo a metà ’800 per completare con grazia cofanetti di bon bon, cappelliere, scatole per guanti, astucci e altre frivolezze che i primi grandi magazzini, a Parigi, mettevano a disposizione di un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo. Una nuova clientela che scopriva e apprezzava i prodotti standardizzati e messi in vendita già confezionati.
Nel packaging, il nastro ha un fine: avvilupparsi attorno a un contenitore fino a formare un nodo di chiusura e, qui, si dipana un’altra storia di eleganza. Se il nodo serra e tiene chiuso il pacchetto, quel che si vede è un viluppo in forma di fiocco, o di coccarda, di brigidino, di rosetta e di molte altre tipologie di annodature: voluminose e con ardite proporzioni tanto quanto piatte e di immediato scioglimento.
Nel nostro tempo, nastri e nodi rinascono in nuove combinazioni poiché l’industria dei profumi non se ne vuole privare così come tutto il mondo del lusso se ne serve ad arte per creare l’emozione dell’attesa. Aprire la scatola di un famoso brand della moda è un rito che ha tempi e mosse da eseguire in sequenza: sciogliere il nodo che libera il nastro su cui, a intervalli regolari, appare il nome della storica marca, alzare il coperchio della scatola, rimuovere la frusciante carta velina, estrare il sacchetto in morbido cotone, allentarne i lacci che lo serrano e, finalmente, far apparire l’iconica borsetta.
L’apertura di una confezione, serrata da un nastro, comporta dunque una sequenza di movimenti che viene studiata per creare almeno due tipi di esperienza: quella sensoriale e quella emotiva. Complici i nastrini con il logo del brand, si arriva talvolta anche a un terzo tipo di esperienza quella di life style, molto in voga fino a pochi anni fa, quando giovani modaioli si facevano attorcigliare al polso i nastrini di famosissimi loghi del fashion e li esibivano come ornamenti di valore. In effetti, oltre che alla propria vanità, rendevano omaggio a una invenzione tessile che ha percorso i secoli con creatività estrema, sorretta da progressi tecnici fondamentali.
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